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Composizione negoziata della crisi, una bomba ad orologeria


Lo schema di decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri prevede che l'imprenditore individuale debba adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi. Tutto ciò potrebbe avere un senso se l’economia e la gestione aziendale fossero scienze esatte


Il punto più delicato della riforma della crisi d’impresa è: l’accesso alla procedura negoziata di risoluzione della crisi è facoltativo oppure è obbligatorio? Lo schema di decreto legislativo approvato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri non lo dice esplicitamente, ma prevede che “L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative”. Inoltre precisa che “costituiscono segnali di allarme” il ritardo nel pagamento degli stipendi per oltre trenta giorni, il ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento dei fornitori, esposizioni bancarie scadute da più di 60 giorni e così via. Al materializzarsi di queste condizioni, di fatto, l’imprenditore, che non sia in grado di garantire comunque la continuità aziendale nei successivi 12 mesi sarà costretto a rivolgersi alla Camera di commercio per richiedere la composizione negoziata. Se non lo facesse, infatti, ci potrebbero essere dei profili di responsabilità degli amministratori che, sembra di capire, potrebbero essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio dei danni causati ai creditori.

Si introduce quindi, per l’imprenditore, l’obbligo di un monitoraggio costante della gestione aziendale, che avrà anche i suoi costi (che qualcuno ha già stimato in range tra i 1500 e i 5000 euro). Tutto ciò potrebbe anche avere un senso se l’economia, e la gestione aziendale fossero scienze esatte. Ma la cronaca degli ultimi anni ci dimostra che non è proprio così: come potevano essere prevedibili eventi come la pandemia, i lockdown, la crisi Ucraina, con le loro conseguenze, in gran parte negative per determinate categorie di imprese? In un periodo così convulso come quello attuale ha senso introdurre procedure standardizzate e burocratizzate, con la pretesa di regolare una realtà che diventa invece sempre più sfuggente? E quale effetto può avere sullo spirito imprenditoriale una spada di Damocle che induce il terrore di dover essere costretto ad alzare bandiera bianca, un evento che significherebbe la perdita della credibilità nei confronti delle banche, dei fornitori, dei dipendenti più qualificati, che comincerebbero a cercarsi un altro posto di lavoro? Di fatto, nella maggior parte dei casi, produrrebbe lo sprofondamento in sabbie mobili dalle quali sarebbe ben difficile uscire.


L’effetto di questa riforma su una fetta consistente del sistema imprenditoriale italiano, in questo momento, potrebbe essere devastante. Basti pensare che sono state 500 mila le imprese che a dicembre non sono riuscite a saldare i propri debiti tributari, tanto che il governo si è trovato costretto a concedere una proroga a rottamazione ter e saldo e stralcio. Mezzo milione di imprese che non sono in grado di onorare i propri debiti tributario sono, per definizione a rischio di default. Entreranno in blocco nella procedura di composizione negoziata? Sembra improbabile che il sistema possa reggere una simile deflagrazione, anche perché si tratta di meccanismi che devono ancora essere rodati, oltre che compresi dagli operatori. Per fortuna la Guardasigilli, Marta Cartabia, ha annunciato nei giorni scorsi una proroga dell’entrata in vigore di queste norme: forse al governo c’è ancora qualcuno con i piedi per terra.


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